TOMMASO TRINI - 1976

Patelli è un eccellente pittore ancor giovane che dal Veneto, dove si isola dalle competizioni fra gruppi, sa fare udire le ragioni e i risultati della sua ricerca. La quale consiste, se posso riassumerla, in una continua distanziazione autocritica delle certezze o conforti intellettuali dell’arte. Conosco appena l’artista e le sue tele degli anni Sessanta, progressivamente presentate come oggetti che occupano uno spazio invece di rappresentarlo, si chiariscono solo mediante l’attuale, ben più lucido, lavoro.
Il quale ruota, lungi dal soffermarvisi, attorno a una serie di losanghe appena spennellate di colore, di legni lunghi e sottili come cornici che recano l’atto di dipingere.
Meglio, Paolo Patelli ha fatto una mostra violenta. Sembra di entrare nel suo studio, non in una ben levigata vetrina di prodotti spediti dalla fabbrica. E’ raro. Le mostre, si sa, tendono a essere teatri delle idee più che vetrine, ma non coi pittori. Patelli mette in pubblico la scena del  suo  quotidiano trafficare con l’arte – i concetti, la manualità, i materiali – pur restando pittore. Altri aggrediscono le varie sette d’arte girovagando con bastoni variopinti che demistificano la pittura, lui non la riduce a bastone, semmai l’impala, di qui la sua violenza. Non tutto in uno studio è convincente. Così a Patelli fa ancora difetto, mi pare, il controllo di alcuni suoi nuovi esperimenti con assemblaggi di reti e plastiche trasparenti prossimi alla scultura. Esperimenti, appunto, che collocano comunque questo artista, combattuto tra l’analisi e la visionarietà,su confini vitalissimi. A me pare uno dei pochi protagonisti davvero nuovi della nuova pittura.

Tommaso TRINI, CORRIERE DELLA SERA, 5-1-1976  a seguito della mostra alla galleria Vinciana, Milano